Coltiviamo la (bio)diversità - Prima parte
Quello che finisce sulle nostre tavole, non è solo un prodotto essenziale per la sopravvivenza, ma cela in sé molteplici significati sociali, politici, economici e culturali. Esso è a tutti gli effetti un elemento culturale, un prodotto sociale determinato storicamente, risultato di precisi processi attraverso i quali l’uomo si è rapportato con la natura, legato quindi anche a tutta una serie di significati materiali e immateriali. Ad esempio, nel contesto delle società contadine tradizionali, i prodotti della terra erano connessi alla trasmissione orale delle conoscenze e dei saperi: la nomenclatura delle varietà poteva indicare il periodo di maturazione (Pera di San Pietro), le caratteristiche peculiari (Pomodoro d' Inverno), le richieste colturali (Cicoria “all'acqua”), ecc. Nondimeno l’alimentazione è stata (ed è) un elemento di differenziazione sociale fra classi dominanti e classi subalterne: alle une venivano destinati prodotti considerati pregiati, le altre dovevano accontentarsi della cosiddetta “cucina povera”. Oltre a ciò «quando parliamo di varietà locali, dobbiamo considerare gli aspetti sociali e culturali della gestione della flora coltivata, i sistemi di diffusione del materiale di propagazione, le sementi o altro, che, al tempo, indicavano scambi, doni, trasmissioni dalla famiglia». Inoltre i prodotti della terra hanno ricoperto ovunque un ruolo fondamentale nella sfera del sacro, diventando elemento di primo piano in tantissimi rituali religiosi, nelle cerimonie funebri, nei riti di passaggio, nei matrimoni. Ogni celebrazione e festività possiede un suo piatto, un suo prodotto tipico pieno di significati simbolici molto spesso propiziatori. Tutto ciò ha implicato un rapporto profondo tra società e la natura, una conoscenza capillare dell’ambiente e delle sue caratteristiche, dei prodotti della terra e delle loro qualità. Il lavoro umano ha avuto un ruolo molto importante nella diffusione dell’incomparabile ricchezza della natura. Lungo l’arco millenario della sua evoluzione, infatti, l’uomo ha cercato di rispondere al bisogno di varietà delle risorse, e a questo scopo, attraverso pratiche centenarie di osservazione, manipolazione e sperimentazione gli agricoltori di tutto il mondo hanno ricercato e coltivato quelle varietà che più si adattavano agli specifici ecosistemi; tramite incroci e ibridazioni hanno ottenuto rese migliori; conservando e custodendo le sementi hanno perpetuato i risultati di tali sforzi. Dietro ogni pianta domestica o albero da frutto ci sono dunque millenni di sforzi di selezione, moltiplicazione e custodia non indifferenti. L’agricoltura tradizionale si è arricchita così di un enorme patrimonio genetico, che ha reso possibile non solo la diffusione di una grandissima varietà di specie di frutta, verdura, ortaggi, cereali e legumi, ma anche la sopravvivenza di queste in ambienti, terreni e climi più disparati. La produttività poteva non essere elevata, ma questa veniva ampiamente sostituita dalla diversità genetica e da una stabilità produttiva notevole, dato che le specie autoctone - selezionate e coltivate in loco da generazioni di agricoltori - ben radicate nell’ambiente, erano molto più resistenti a variazioni climatiche e insorgenze di malattie. «[…] La diversità genetica insita nelle specie, dava una grande stabilità produttiva che si doveva alla coesistenza nella stessa coltivazione, nello stesso campo, di piante resistenti alle diverse malattie, in grado di sopportare le une il caldo, le altre il freddo, le une la siccità le altre l’umidità, di modo che, sebbene la produzione individuale variasse con le condizioni climatiche e si avesse la comparsa di malattie durante l’annata agraria, il rendimento medio si potesse mantenere anno dopo anno». «La moltiplicazione del numero di specie coltivate, le cure prestate alla diversificazione dei loro tempi di crescita miravano a superare, anche di molto, i limiti “naturali” di produzione: per esempio si selezionavano e coltivavano moltissime qualità di mele, di pere, di altri frutti. Si tirava il Tempo, per rendere i cibi disponibili lungo un arco di mesi a volte quasi inconcepibile rispetto all’esperienza di oggi». Il contadino quindi, aveva a disposizione un’ampia varietà biologica, alla quale vanno aggiunte tutte quelle piante medicinali e alimentari spontanee la cui conoscenza veniva trasmessa per via generazionale. Tutto questo complesso di conoscenze è stato al servizio della sopravvivenza dell’essere umano per migliaia di anni.